Santa Messa Del 20 Giugno 2021 Ore 830 Xii Domenica Del Tempo Ordinario

Il brano evangelico di questa domenica contiene l’ultima parte del discorso missionario rivolto da Gesù ai suoi discepoli, ai dodici inviati ad annunciare il regno dei cieli ormai vicino (cf. Mt 10,7) e a far arretrare il potere del demonio (cf. Mt 10,1). Diverse parole di Gesù sono state raccolte qui da Matteo, parole dette probabilmente in circostanze diverse ma che nel loro insieme determinano il contenuto e lo stile della missione, e preannunciano anche le fatiche e le persecuzioni che i discepoli dovranno subire, perché accadrà loro ciò che Gesù stesso, loro maestro e rabbi, ha sperimentato (cf. Mt 10,24-25).

Ma cosa mai potrà dare al discepolo la forza di resistere di fronte a ostilità, calunnie, contraddizioni che minacciano anche le relazioni più comuni e quotidiane, quelle familiari? L’amore, solo l’amore per il Signore! Ecco perché Gesù ha fato risuonare delle parole forti, che ci scuotono: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me”. Questa sentenza di Gesù può sembrare innanzitutto una pretesa inaudita e irricevibile, ma è una sua parola autentica che va compresa in profondità. Gesù non insinua che non si debbano amare i propri genitori o i propri figli – come d’altronde richiede il quinto comandamento della legge santa di Dio (cf. Es 20,12; Dt 5,16) – e neppure esige un amore totalitario per la sua persona, ma richiama l’amore che deve essere dato al Signore, amore che richiede di realizzare la sua volontà. Gesù si rallegra quando ciascuno di noi vive le sue storie d’amore e quindi sa custodire e rinnovare l’amore per l’altro – coniuge, genitore o figlio –, ma chiede semplicemente che a lui, alla sua volontà, non sia preferito niente e nessuno da parte del discepolo.

Seguire Gesù, infatti, può destare l’opposizione proprio da parte di quelli che il discepolo ama, può far emergere una divisione, una differenza di giudizio e di atteggiamenti rispetto a Gesù stesso. In queste situazioni il discepolo, la discepola, dovrà avere la forza e il coraggio di fare una scelta e di dare il primato a Gesù, alla sua presenza viva e operante. Sì, va detto con chiarezza: se i genitori, o chiunque altro sia legato a noi da un vincolo di parentela e di amore umano, diventano un impedimento alla sequela del Signore, allora occorre che l’amore di Cristo abbia una preminenza anche sugli amori generati dal vincolo familiare. Con un linguaggio maggiormente segnato dalla cultura semitica, abituata a utilizzare immagini più concrete e a farlo attraverso una lingua ricca di antitesi e di forti contrasti, nel passo parallelo di Luca queste espressioni risuonano con ancora maggior durezza: “Se uno viene a me e non odia (cioè, non ama meno di me) suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). Se una persona diventa ostacolo alla nostra sequela, se contraddice il nostro amore per Cristo, allora va odiato, cioè non va ritenuto qualcuno che possa determinare la nostra vita.

Questa rinuncia dovuta a un’azione di discernimento ha un solo nome – continua Gesù –: prendere, abbracciare la propria croce, cioè lo strumento dell’esecuzione del proprio uomo vecchio, della propria condizione di creatura soggetta al peccato e sotto l’influsso del demonio. Significativamente un discepolo dell’Apostolo Paolo attualizzerà queste parole di Gesù con un’espressione altrettanto esigente e forte: “Fate morire le vostre membra che appartengono alla mondanità” (Col 3,5). Si tratta di rinnegare se stessi, di smettere di conoscere soltanto se stessi, per conoscere Gesù Cristo e solo in lui anche noi stessi. Comunicare al mistero della morte di Cristo, perdendo la vita, spendendo la vita nel fare la volontà di Dio, cioè nell’amore dei fratelli e delle sorelle in umanità, è imprescindibile per l’autentico discepolo di Gesù.

Come dimenticare al riguardo, il prezzo della sequela del Signore Gesù pagato dai cristiani martiri, a causa della persecuzione di Satana, “il principe di questo mondo” (Gv 12,31; 16,11)? Nella passione di una donna e madre cristiana dell’inizio del III secolo, per esempio, si legge:

Il procuratore Ilariano, avendo il potere della spada, mi disse: “Abbi pietà dei capelli bianchi di tuo padre e della tenera età d tuo figlio. Sacrifica agli dèi per la salute degli imperatori. Ma io risposi: “Non faccio sacrifici agli dèi”. Ilariano mi chiese: “Sei cristiana?”. Risposi: “Sì, sono cristiana”.

(Passione di Perpetua e Felicita 6,3-4)

Ecco l’amore per il Signore, preferito a un amore pur legittimo, santo e buono per i legami familiari.

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